La
psicologia dello sport studia l'azione e i rapporti interpersonali all'interno del contesto sportivo. Gli studi in questo settore hanno permesso di comprendere in maniera approfondita gli aspetti psicologici connessi al fenomeno atletico, di migliorare le metodologie di allenamento e i metodi di insegnamento dello sport stesso (Cei, 1998).
L'intervento dello psicologo dello sport può rivolgersi al singolo atleta, alla squadra, all'allenatore e anche al personale dirigenziale e organizzativo. In quest'ultimo caso si ha una parziale sovrapposizione con il campo della psicologia del lavoro e delle organizzazioni.
Dal punto di vista dell'atleta, attraverso l'utilizzazione di tecniche quali il mental training, il training autogeno, l'imagery, il biofeedback e i test cognitivi e di personalità, è possibile migliorare la performance mediante la creazione di uno
stato ottimale di attivazione e benessere psicofisico.
Forma fisica e forma mentale procedono in parallelo e possiamo affermare che
un'ideazione vincente è senz'altro determinante per la forma fisica.
Ti sarà capitato di partecipare a una lezione di fitness o di un'altra disciplina sportiva, con un istruttore poco motivante o stimolante, e di uscirne più annoiato e svogliato di prima. Oppure con un istruttore coinvolgente, energico e caricato, e di lasciare la lezione pieno di grinta e vitalità.
Questo è un semplice esempio di come un livello ottimale di attivazione psichica può produrre una maggiore efficienza fisica.
Immagina ora quest'effetto moltiplicato molte volte, su un atleta di alto livello e sulle sue prestazioni. Diventa allora evidente l'importanza di un'adeguata preparazione psichica.
Gestione dello stress e cambiamento |
Un altro aspetto fondamentale di cui si occupa la psicologia dello sport è la
gestione dello stress, dentro e fuori del campo di gioco.
Saper controllare lo stress da parte dell'atleta presuppone un cambiamento di atteggiamento, che può richiedere un certo lavoro. Infatti, la maggior parte degli individui e dei sistemi - squadre o gruppi di lavoro - tende a resistere al cambiamento.
La teoria generale dei sistemi definisce questo meccanismo come
omeostasi, cioè la tendenza che hanno tutti i sistemi di mantenere lo status quo (Watzlawick e altri, 1974).
Anche se il cambiamento di un sistema può essere innescato agendo su uno qualunque dei suoi elementi, spesso è più utile iniziare da quello che ha il controllo maggiore sul funzionamento del sistema stesso, dall'elemento più importante.
In un sistema-squadra, questo elemento è l'allenatore o il team leader, mentre nell'individuo coincide con il
sistema motivazionale. In entrambi i casi è necessario lavorare su
autoefficacia e
goal setting (stabilire gli obiettivi).
L'autoefficacia è l'atteggiamento che hai verso la tua capacità di ottenere risultati in un determinato campo d'azione: sportivo, lavorativo, affettivo e così via. In altre parole, l'atoefficacia è l'insieme delle convinzioni e delle valutazioni che hai sulle tue capacità. Il concetto di autoefficacia è strettamente legato a quello di
autostima, ed è ciò che può fare la differenza fra un atleta vincente e uno perdente.
Il goal setting consiste invece nel metodo con cui stabilisci e metti in pratica un piano per raggiungere i tuoi obiettivi. Se attuato nel modo dovuto, il goal setting consente di evitare errori tipici, come porsi degli obiettivi troppo ambiziosi o troppo poco stimolanti.
La ricerca mostra che puoi raggiungere il massimo della motivazione quando l'obiettivo che hai stabilito di perseguire non è troppo al di sopra né troppo al di sotto delle tue possibilità. Delle tue possibilità percepite, come abbiamo appena visto a proposito dell'autostima.
Ciò vale non solo nel mondo dello sport, ma in ogni circostanza dove devi esprimere una qualche performance per ottenere dei risultati.
Fissare degli obiettivi troppo ambiziosi è come aver deciso in partenza che avrai scarse o nulle probabilità di raggiungerli.
Al contrario, obiettivi troppo poco stimolanti non saranno in grado di fornirti la spinta sufficiente per farti impegnare.
Stabilendo invece degli obiettivi di difficoltà intermedia, dentro il campo delle tue capacità percepite, avrai il massimo delle probabilità di riuscita e, ancora più importante, creerai delle basi d'esperienza per far crescere ulteriormente la tua percezione di capacità. Questo ti permetterà di scegliere obiettivi un po' più ambiziosi la volta successiva.
In sostanza, la progressione corretta è fare
piccoli passi anziché pretendere tutto e subito. In questo modo puoi trasformare obiettivi che oggi ti sembrano impossibili in obiettivi raggiungibili in futuro.
John Weakland, uno dei pionieri del famoso gruppo di Palo Alto, insegnava ai suoi studenti che per fare grandi cose è necessario fare piccole cose. Perché impegnandoti a fare ogni giorno piccole cose, diceva, e poi mettendo insieme tutte queste piccole cose, alla fine ti troverai ad aver fatto grandi cose avendo fatto solo piccole cose.
Riassumendo: fissare obiettivi limitati, raggiungibili e progressivamente più ambiziosi è uno dei modi migliori per aumentare l'autoefficacia e la performance, che tu sia un atleta oppure segua un qualunque altro percorso di crescita e miglioramento.
L'aumento dell'autoefficacia è cruciale ai fini di un buon controllo dello stress. Lo stress nasce quando percepisci le sollecitazioni dell'ambiente come superiori alle tue capacità di farvi fronte. È noto che persone diverse, nelle stesse circostanze e con le stesse capacità, reagiscono in modo diverso. Lavorando dunque sull'autoefficacia è possibile far sì che il compito sia rielaborato, ristrutturato e ricollocato all'interno del tuo spazio del possibile.
In tal modo, sarai meno soggetto allo stress.
Bibliografia:
Cei A, 1998. Psicologia dello sport. Il Mulino, Bologna.
Watzlawick P, Weakland JH, Fisch R, 1974. Change: la formazione e la soluzione dei problemi. Astrolabio, Roma.
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