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La resistenza in psicoterapia |
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Se hai mai cercato di persuadere qualcuno, anche nel suo interesse, ti sarai confrontato con questo fenomeno: gli dici di fare qualcosa ed è probabile che farà l'opposto.
Terza legge di Newton sulla dinamica: "A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria".
Anche nella psicoterapia attiva, che si basa su processi di tipo persuasivo, la legge di Newton resta valida.
Il terapeuta ha indagato, ti ha fatto le domande giuste, ha capito qual è la manovra che potrebbe aiutarti a sbloccare il tuo problema e te la propone.
Ma tu non sembri affatto disposto a riceverla: ti irrigidisci, sei titubante, incerto, cambi discorso. Oppure scherzi, la butti sull'ironia. E poi non esegui il compito che ti viene prescritto.
Insomma, fai
resistenza.
Fin dai tempi di Freud questo fenomeno è stato riconosciuto e discusso, in modi diversi a seconda degli autori che se ne sono occupati. Per alcuni autori il fenomeno indubbiamente esiste. Per altri non solo esiste, ma è inevitabile e ineludibile. Per altri ancora non esiste nemmeno.
Alcuni sostengono che non può esservi alcuna resistenza e che discuterne equivale a discutere della capacità del terapeuta.
Non esisterebbero cioè pazienti impossibili, ma solo terapeuti incapaci.
Sembrerebbe una posizione assolutista, sebbene rispettosa degli interessi del paziente. Ed enunciata in questo modo, potrebbe generare essa stessa una certa resistenza in chi la legge.
D'altra parte, la resistenza è stata purtroppo usata da alcuni terapeuti come alibi per giustificare gli insuccessi: il paziente aveva una resistenza troppo alta. Non era ancora pronto.
Resistenza al cambiamento come omeostasi |
Ma come stanno davvero le cose? La resistenza esiste o no? E quanto può essere d'intralcio in terapia?
La resistenza in terapia è
reazione al cambiamento. Più precisamente, è una manifestazione di
omeostasi.
L'omeostasi è uno stato di
stabilità interna di un sistema animato o inanimato, che tende a mantenersi tale in presenza di perturbazioni esterne. Quando un agente esterno ne sposta la posizione, il sistema opererà per tornare al punto d'equilibrio originale.
Un po' come quei pupazzi dalla base rotonda e appesantita, che se li inclini da un lato, dopo qualche oscillazione ritornano in posizione verticale.
L'omeostasi è uno dei più importanti fenomeni mai scoperti e puoi trovarlo un po' ovunque. Il termine omeostasi è stato creato dal fisiologo da W. B. Cannon nel 1932, ma è comunemente presente anche nell'ingegneria dei sistemi di controllo sotto il nome di
retroazione negativa.
Nei sistemi di controllo, se un certo valore aumenta troppo, il sistema lavora per diminuirlo. Se invece diminuisce troppo, per aumentarlo. In entrambi i casi la variabile torna sempre al valore originale.
Un classico esempio di sistema di controllo omeostatico è il
termostato. Infatti termostato vuol dire: stessa temperatura.
Quando la temperatura esterna varia, il termostato accenderà o spegnerà il sistema di riscaldamento o condizionamento fino a riportare la temperatura al valore prestabilito.
Ogni sistema attivo si trova quasi sempre in condizione d'equilibrio, ottenuta al prezzo di un certo lavoro di aggiustamento e tentativi andati a vuoto. E può trattarsi sia di un equilibrio
funzionale che
disfunzionale, cioè utile oppure controproducente.
Quando vai in terapia, ti trovi per l'appunto in uno stato d'equilibrio disfunzionale che, per quanto ti faccia soffrire, è stabile ed è relativamente poco costoso da mantenere. Certamente meno costoso del cambiamento. Fai resistenza perché ad esempio è più facile negare l'esistenza di un problema che riconoscerlo, dato che riconoscerlo significherebbe doverlo risolvere. Oppure ti è più facile evitare una situazione che ti causa ansia, piuttosto che affrontarla e risolverla.
Alterare un equilibrio significa spendere energia e quindi il sistema - cioè tu - non sarà disposto ad abbandonare quell'equilibrio così facilmente. Si tratta di processi non sempre consapevoli, nel senso che tu non boicotti di proposito la tua terapia. Stai solo facendo resistenza, magari giustificando e razionalizzando il tuo comportamento in altri modi: "Il terapeuta mi era antipatico", "Questo tipo di terapia non mi piace", "Ero stanco", "In fondo non sto così male" e via dicendo.
In passato si pensava che la resistenza fosse dovuta solo alla paura di perdere il cosiddetto
vantaggio secondario garantito dal sintomo.
Ad esempio, l'isterica può usare la sua teatralità per ottenere attenzione, ed è evidente che guarendo non potrebbe più ottenerla.
Ma nel tempo si è visto che spesso non c'è alcun vantaggio secondario dietro il sintomo e che una certa resistenza, di norma, è invece presente.
È brutto da dire, ma la terapia comportamentale pura, tanto sminuita e denigrata nelle nostre università, può ottenere ottimi risultati senza preoccuparsi troppo di ciò che starebbe nascosto "dietro" o "sotto" al sintomo.
Resistenza e terapia breve |
Per ottenere un cambiamento in terapia breve è necessaria delicatezza, bisogna toccare il minor numero di punti possibile senza inutili sconvolgimenti. Quindi, anche se la resistenza esiste ed equivale al concetto di omeostasi, dovrebbe essere stuzzicata il meno possibile e anzi, dove possibile, aggirata.
Conduco i miei interventi in modo dimesso, sotto traccia, evitando inutili contrapposizioni. Il tuo tipo di resistenza sarà diverso da quello di altri casi e occorre quindi trattarlo in modo personalizzato.
Ad esempio, in alcuni disturbi è possibile prescrivere un compito fra una seduta e l'altra che sembra avere apparentemente un certo scopo, ma che invece mira a ottenere un effetto diverso. Questo benefico inganno ti sarà poi spiegato nella seduta successiva, dopo avertelo fatto sperimentare di persona.
Le spiegazioni si danno quasi sempre dopo aver fatto eseguire una prescrizione comportamentale, evitando troppe descrizioni anticipate: sarai tu stesso a sperimentare ciò di cui hai bisogno e poi, se ne sentirai il bisogno, a porre domande su quello che ancora ti manca per consolidare la nuova prospettiva acquisita.
Oppure potrebbe non essere opportuno darti "compiti per casa" e più utile fare il lavoro necessario insieme, in seduta.
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