Quali sono le differenze fra l'uomo di fede e l'uomo di scienza? Proviamo a riflettere.
L'uomo di fede sente che una certa cosa X è vera e quindi dice: "Mettiamoci insieme e troviamo tutte le ragioni che provano che X è vera o che sorreggono questa sensazione."
L'uomo di scienza si chiede invece se una certa cosa Y è vera o falsa, quindi dice: "Mettiamoci insieme e vediamo di trovare dei casi in cui Y non è vera: se riusciamo a trovarne anche uno solo, sapremo per certo che Y è falsa. Diversamente, se tutti i casi che esaminiamo ci danno Y come vera, allora Y
potrebbe essere sempre vera.
Come si vede queste figure partono da assunti differenti. L'uomo di fede parte da una sensazione, ossia sente qualcosa e per ciò stesso ne ammette l'esistenza indipendentemente da ciò che sentono o vedono gli altri.
Diversamente, l'uomo di scienza parte da una voglia di conoscenza. Vuole semplicemente sapere se una cosa è vera o falsa. Ad esempio, se un certo effetto fisico è reale o se è un artefatto dovuto a osservazioni sbagliate o metodiche sperimentali inadeguate.
In entrambi i casi si parte da un bisogno, ma mentre nel caso della fede tale bisogno è di conferma, nel caso dello scienziato si tratta di un bisogno di conoscenza.
In un certo senso si potrebbe dire che la scienza è pessimista, perché procede per falsificazioni. Da Popper in poi sappiamo che nessuna cosa può essere provata, solo
smentita. Se in tutta la mia vita ho solo visto cigni bianchi, da un punto di vista logico niente mi autorizza a concludere che "tutti i cigni sono bianchi". L'affermazione è provata solo per tutti quelli che ho visto sino ad oggi. Dovesse apparire anche un solo cigno nero nel mio stagno, domani, l'affermazione diventerebbe falsa e dovrebbe essere abbandonata.
La scienza non possiede certezze, solo ipotesi e teorie più o meno robuste e durevoli, e tuttavia temporanee: ogni teoria è passibile di essere smentita e sostituita da un'altra più adatta a spiegare ciò che succede. E d'altra parte, la scienza nulla più di questo aspira ad essere.
Fra queste due posizioni ve ne è una terza a metà strada, quella dell'uomo di
tecnologia.
L'uomo di tecnologia sa che una certa cosa Z non esiste, ma gli piacerebbe costruirla. Oppure, che è lo stesso, sa che un problema P esiste e vorrebbe risolverlo. Quindi dice: "Mettiamoci insieme e troviamo il modo di realizzarlo."
Il tecnologo - o tecnico - sta a metà strada perché si serve sia della fede ("riuscirò a ottenere Z o a risolvere P, anche se ancora non ci sono arrivato") che della scienza ("come e perché ci riuscirò") ed è animato quindi da entrambi i desideri di fede e conoscenza. Ed è inoltre animato da un bisogno di
fare, di riuscire. Ed è per questo che la tecnologia riscuote tanto successo: riesce a risolvere una quantità di problemi, a creare cose, a dare quell'illusione di magia che tanto ci attira e tanto senso pare infondere alle nostre vite.
Sarebbe sciocco non approfittarne.
Tuttavia, la tecnologia presenta due rischi. il primo consiste nella creazione di molti bisogni fittizi e di basso valore, bisogni che prima non esistevano ma che oggi diventano quasi obbligatori perché tutti ce l'hanno - il telefonino, internet, l'oggetto di grido e via dicendo. Il secondo rischio consiste nella pericolosa illusione che sia possibile controllare tutto.
Quest'illusione si presta in modo particolare a creare ansia, perché al mondo sono più le cose che non possiamo controllare di quelle che riusciamo controllare.
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