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Genitori e figli possono essere amici?

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Genitori e figli possono essere amici?

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relazioni - 17/05/22

Una domanda che molti non si fanno è: genitori e figli possono essere amici?



Non sentirai così spesso in giro questa domanda. Più facilmente, si dà per scontato che si possa o non si possa - o si debba - essere amici con i propri figli o i propri genitori.

Magari qualcuno deluso dal comportamento dell'altro ti dirà: "Eppure pensavo fossimo sempre stati amici". Oppure: "Forse è perché non siamo mai stati amici".

La questione è semplice e complessa allo stesso tempo.

È complessa perché quando ci sono di mezzo legami di sangue o familiari, la gente non sempre ha l'obiettività per capire ciò che è meglio. Capisce solo quello che la pancia gli dice. E così ad esempio confonde l'amicizia con l'amore filiale.

È complessa perché essere amici fra genitori e figli non è una regola che vale sempre. Si può esserlo o non esserlo, a seconda del periodo attraversato e del livello di maturità di ciascuno.

Ma è semplice, perché in fondo il criterio per decidere se può esistere o meno amicizia fra genitori e figli è uno solo: dipende dal livello di indipendenza e autonomia di entrambi.

L'elemento che più di tutti contraddistingue l'amicizia, infatti, è il suo essere un rapporto alla pari.

Essere alla pari vuol dire che uno dei due non ha prerogative di responsabilità sull'altro e che non si tratta di un rapporto di potere, come può esserci ad esempio fra un capo e i suoi sottoposti, fra un ufficiale e un sottoufficiale, fra un padre e una madre e il proprio bambino.

In tutti questi casi si può parlare di rapporto di rispetto, di ammirazione, di fedeltà, persino di affetto, o addirittura di venerazione, ma non di amicizia.

Perché arriva il momento in cui quello dei due che ha uno status superiore dice all'altro: "Devi fare o non fare questa cosa".

L'ufficiale dovrà far eseguire degli ordini al sottoufficiale, che a sua volta li farà eseguire ai soldati. Il capo dirà al collaboratore qual è il lavoro da fare ed entro quanto tempo. E il genitore ha il dovere di essere responsabile del proprio figlio ancora immaturo.

Essere genitori non è solo accompagnare, ma anche in una certa misura indirizzare i figli durante lo sviluppo, perché un bambino non può avere lo stesso livello di indipendenza e autonomia di un adulto.

Per molti anni dopo la nascita ruoli e status di genitori e figli sono e devono restare distinti. Confonderli può solo portare a ulteriore confusione, incomprensione e frequenti problemi quando i figli diventano adulti.

Come i danni provocati da quella che una volta si chiamava educazione permissiva. Che riposi in pace l'anima del Dr. Spock. Non quello di Star Trek, Benjamin Spock era un pediatra che diffuse questo metodo diseducativo del quale poi lui stesso si pentì.

Deve esistere una sana gerarchia familiare, in cui il bene dei figli ancora immaturi viene tutelato dai genitori, permettendo o non permettendo loro di fare determinate cose, oltre che trasmettendo valori e insegnamenti.

Durante tale periodo genitori e figli non possono essere amici.

Più avanti, quando i figli sono ormai adulti e capaci di cavarsela da soli, tale distinzione diventa sempre meno marcata e può alla fine scomparire.

A quel punto i figli non hanno più l'obbligo di seguire ciò che padre e madre dicono loro, cioè gli obblighi si trasformano in suggerimenti, le prescrizioni in semplici raccomandazioni.

Anche se qualche mamma troppo apprensiva non si rassegna mai e crede di sapere sempre cosa è meglio per i propri figli. "Perché io lo so".

"Mettiti il maglione quando esci!"
"Ma io non ho freddo!"
"Ma io sì, quindi mettitelo!"

Raggiunta l'indipendenza e la parità, si può essere amici. Alcuni non vogliono sentirselo dire, ma l'acquisita indipendenza deve essere anche economica. Non ha senso dire che uno è indipendente se vive ancora con i suoi e non ha un lavoro, a 30 anni.

Poi arriva la fase successiva, quella in cui i genitori invecchiano e diventano sempre meno indipendenti e meno autonomi. Alcuni più velocemente di altri, alcuni sul piano fisico, altri più su quello mentale.

E allora la parità di ruoli è spesso rimessa in discussione. Che senso avrebbe dire: "Io sono molto amico di mio padre", se mio padre ha l'Alzheimer e fa fatica a riconoscermi? È un caso estremo, certo, ma il declino cognitivo nell'anziano può avere vari livelli di gravità.

Potrò dire che voglio molto bene a mio padre, che lo amo e che siamo stati amici per la maggior parte dei nostri anni.

Ma alcuni arrivano in età avanzata e sanno e capiscono più cose dei giovani e in tal caso il problema non si pone. Anzi, l'idea dell'anziano saggio, che ha ancora tanto da insegnare ai più giovani, come nelle società antiche, rappresentava proprio questo tipo di valore.

Se hai figli in età di sviluppo, dovresti sforzarti di essere un esempio accessibile per loro, nel quale possano almeno in parte identificarsi. Se farai questo saranno loro a tornarti a cercare una volta cresciuti, e diventare amici e scambiarsi pareri e opinioni sarà una cosa del tutto naturale._


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