Domanda frequente: mio marito o un mio familiare soffre d'ansia o di depressione. Abbiamo già provato a suggerirgli di andare in terapia, ma lui non ne vuole sapere. "I pazzi siete voi" ci dice.
Come posso aiutarlo?
Quando una persona a te cara sta soffrendo, tutto ciò che vorresti è vederla stare meglio. E soffri soprattutto quando sembra non aver alcuna voglia di lasciarsi aiutare.
Può essere per un malinteso senso di autonomia ("ce la devo fare da solo") o perché non ha fiducia nella terapia o nei terapeuti, o perché, come nel caso della depressione, ormai non gli importa più neanche di stare bene.
Nei disturbi mentali non puoi essere tu a fornire aiuto direttamente, se sei un familiare. Primo, perché non sei un terapeuta. Secondo, perché se anche lo fossi, per deontologia non potresti trattare un tuo parente, un familiare o un amico. Dovresti portarlo da un collega.
Ogni tanto mi arrivano per email richieste tipo: "Mi insegni come guarire mio marito dagli attacchi di panico". Ma si tratta evidentemente di richieste poco realistiche. Già se mi chiedessi di curare te dagli attacchi di panico, per email, ci sarebbe da mettere le mani avanti. Mi chiedi addirittura di insegnarti, per email, come curare una terza persona!
È solo uno dei tanti esempi in cui si manifesta l'illusione di controllo. Siccome sei in grado di pensare qualcosa, non importa quanto astrusa e lunare, puoi credere che il metterlo in pratica debba essere facile come averlo pensato.
Eccesso di ottimismo o aspettative troppo elevate?
Mah. Ci vorrebbe uno psicologo per capirlo.
Perché l'aiuto può essere rifiutato
Dunque, come fare per convincere qualcuno a farsi aiutare?
Con i disturbi mentali può non essere semplice, questo va detto subito.
Mentre se ti fai male a una gamba sarai tu stesso a correre al pronto soccorso, anche su una gamba sola, quando ci sono di mezzo mente ed emozioni la ricerca di aiuto può non essere così scontata.
Alcuni esempi del perché li abbiamo fatti sopra. Un altro potrebbe essere il vantaggio secondario. Ci sono dei disturbi, cioè, che devono continuare a esistere affinché la persona possa trarne un certo vantaggio. Può essere il ricevere attenzione e vicinanza dai familiari. "Sto male, prendetevi cura di me". O un modo per rendersi passivi. "Sto male, a lavorare non ci posso andare".
Quindi, eliminando il disturbo elimineresti anche il vantaggio secondario.
Anche nelle dipendenze è così. Le dipendenze si basano quasi sempre sul piacere, cioè il vantaggio secondario è il piacere che la persona prova nel giocare d'azzardo, per esempio, o nel far uso di una certa sostanza.
"Smetto quando voglio" è l'autoinganno più diffuso fra quanti hanno dipendenze.
Oppure, nelle psicosi e nella depressione grave, la persona non ha più la forza o la capacità di rendersi conto che ha bisogno di aiuto. Lo vedono tutti eccetto lei, perché non può. Come nell'anoressia. Lei pesa 35 kg, ma si guarda allo specchio e si vede grassa.
Ma può esistere anche il caso opposto. Cioè la persona sta soffrendo, ma ancora troppo poco. Non è ancora arrivata alla frutta, non sente di non poter più andare avanti così e quindi non è abbastanza motivata a cercare aiuto.
E potrebbe persino avere ragione. Potrebbe essere portatrice di un certo malessere, ma non talmente grave da sollecitare aiuto esterno. Magari sei tu che ti stai lasciando impressionare. Sei tu la persona ansiosa e apprensiva e non tolleri di vedere nell'altro il più piccolo segno di sofferenza che ti senti subito in colpa e in dovere di fare qualcosa.
Quindi possono essere molte le ragioni del perché l'altro non sta cercando aiuto.
Puoi fare prima tu un consulto con uno specialista, spiegandogli la situazione. Un terapeuta sufficientemente strategico capirà subito la ragione dietro alla mancata richiesta di aiuto e potrà quindi farti risparmiare molto tempo.
Inoltre, vedendo che ti stai attivando e che non hai paura di andare dallo psicologo, l'altro potrebbe sentirsi incoraggiato a fare altrettanto.
Non solo, potrai ricevere suggerimenti più appropriati al caso e con la massima probabilità di riuscita, per convincere l'altro a farsi curare.
Dire le cose senza dirle
Restando sul generale, la strategia di base che dovrai utilizzare per cercare di convincere qualcuno a chiedere un parere a un terapeuta è dirlo senza dirlo. Usando tatto, cautela e sensibilità.
Evitare di essere troppo diretto ed evitare nel modo più assoluto ultimatum, ricatti o minacce, o di fare pressioni, che avrebbero l'effetto diametralmente opposto.
Di solito le persone non amano sentirsi dire chiaro e tondo: "Hai bisogno di cure mentali". La risposta più prevedibile è: "Perché non ci vai tu per primo?"
Del resto se nessuno è normale, allora inizia tu.
Perciò dovrai evitare di raccomandare una terapia direttamente.
Dovrai piuttosto cercare di fare in modo che il desiderio di rivolgersi a uno specialista gli venga dal di dentro. Perché come diceva Pascal, le persone si persuadono molto meglio quando lo fanno attraverso i loro stessi argomenti.
Un modo per ottenerlo è facendo domande indirette, che portino l'altro a riflettere su come si sente:
- "C'è qualcosa che posso fare per te?"
- "Hai bisogno di aiuto?"
Un altro modo è esprimere ciò che senti, sempre resistendo alla tentazione di dare consigli non richiesti:
- "Sono preoccupato per come ti sto vedendo in questi giorni"
- "Mi ricordo di quando, tempo fa, sorridevi sempre. Mi faceva così piacere"
Dovrai inoltre parlare agli altri familiari affinché collaborino. Non servirebbe a nulla che tu usassi una comunicazione perfetta, se poi arriva quello che gli grida in faccia: "Devi deciderti a farti curare!"
Intervento indiretto
Se tutti gli sforzi dovessero andare a vuoto, l'ultima spiaggia è l'intervento indiretto, che potrà eventualmente esserti suggerito dal terapeuta a cui ti sarai rivolto.
L'intervento indiretto è molto adatto con i bambini e infatti, nel modello breve strategico, con i bambini si lavora solo attraverso questa modalità. Si insegnano cioè ai genitori gli stratagemmi più utili per fronteggiare le difficoltà del bambino.
Questo perché è più veloce utilizzare il forte legame affettivo che già esiste fra i genitori e il bambino, piuttosto che doverne creare uno nuovo fra bambino e terapeuta.
Ma con gli adulti non è sempre così. Al contrario, per l'adulto può essere più facile instaurare una relazione forte con una persona sconosciuta, ma esperta del suo problema, come il terapeuta, piuttosto che con la propria moglie o marito.
Ma come si dice, chi non ha il cane va a caccia col gatto.
Quindi, rivolgendoti tu a un terapeuta potrai farti insegnare ciò che può funzionare meglio con il tuo familiare sofferente. E inoltre, come abbiamo detto, vedendo che stai cercando aiuto, potrebbe essere più facile per lui convincersi a seguirti._