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Il doppio volto dell'empatia |
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La definizione di empatia tratta dall'enciclopedia Treccani è:
capacità di porsi nella situazione di un'altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell'altro.
Sì, ma
quali processi psichici?
Di solito si pensa che empatia sia sentire ciò che l'altro sente. Tu soffri e io soffro con te. Sei felice e anch'io lo sono. Tu mi spieghi ciò che stai provando a anch'io inizio a provarlo. Se sono una persona con buona capacità di empatia, quindi, l'altro si sentirà compreso. Diversamente, avrà l'impressione di trovarsi di fronte a una persona
insensibile.

Tuttavia, di recente
Robert Eres e la sua equipe hanno coniato una
doppia definizione per il termine empatia.
Da indagini cerebrali effettuate con tecniche di
neuroimaging, infatti, sembra che esisterebbero una
empatia emotiva e una
empatia cognitiva.
La prima è quando
sentiamo le emozioni di qualcun altro, mentre la seconda è quando lo
capiamo intellettualmente.
Dice Eres: "Le persone con un'alta empatia emotiva sono quelle che si impauriscono facilmente assistendo ai film dell'orrore, o che si commuovono di fronte alle scene tristi. Quelle invece che hanno un'alta empatia cognitiva sono più razionali. Come ad esempio lo psicoterapeuta che sta trattando un paziente".
Le
configurazioni del cervello che si riferiscono a questi due tipi di empatia sono differenti. Chi ha un'alta densità di materia grigia
nell'insula - un'area appunto legata alle emozioni - avrebbe un'alta empatia emotiva, mentre chi ha una densità maggiore nella
corteccia medio-cingolata avrebbe un'alta empatia cognitiva.
Un quadro, quindi, dove l'empatia è definita come
costrutto multifattoriale ossia, in questo caso, formata da due fattori distinti e relativamente indipendenti. Sì, perché ognuno di noi conoscerà persone capaci di comprendere gli altri tanto sul piano emotivo quanto su quello razionale. O che non sono capaci né dell'una né dell'altra cosa. O più capaci in una e meno nell'altra.
In alcune professioni come quella di psicologo/psicoterapeuta, questa
doppia capacità è importantissima: la componente emotiva per far sì che il paziente/cliente
senta di essere capito, e quella razionale perché egli possa
capire di essere capito e, ancor più importante, perché quest'ultima permette al terapeuta di capire il problema e poter
intervenire di conseguenza.
Da questo punto di vista in terapia sono importantissimi i cosiddetti atti di
restituzione, ossia rimandare contenuti e concetti che il paziente ha appena espresso. Sotto forma di
parafrasi oppure tali e quali li ha forniti lo stesso paziente, ripetendoli addirittura parola per parola. In questo modo, la persona riceverà un
feedback che gli darà la conferma di essere stata capita. Quando tali feedback sono forniti facendo uso anche di un'appropriata
comunicazione non verbale, l'effetto sarà massimo, perché il paziente si sentirà capito su entrambi i fronti: quello emotivo del
come e quello intellettuale del
cosa.
Basandomi sulla mia esperienza personale di psicoterapeuta e utilizzando la distinzione evidenziata da Eres, direi che i terapeuti, quelli almeno che utilizzano un approccio attivo, devono essere capaci di mantenere il canale dell'empatia cognitiva (razionale) sempre ben aperto, tenendo tuttavia sotto controllo le briglie dell'altro, quello emotivo. Ciò per evitare di emozionarsi troppo e non poter più aiutare la persona che si ha di fronte!
Fonti:
Robert Eres et al. 2015. Individual differences in local gray matter density are associated with differences in affective and cognitive empathy. NeuroImage (su ScienceDirect online).
Enciclopedia Treccani online._