Alcuni sostengono che la pandemia sarebbe il Grande Reset di cui si parla da tempo: una situazione creata apposta o indotta dai governi di mezzo mondo per plasmare il futuro della società e delle persone, rendendole più controllabili.
Altri vedono nella pandemia soprattutto una Grande Pausa.
Per me, invece, è un avvertimento. Della necessità di uscire dal torpore e ricominciare a fare piani.
La pandemia ha obbligato le persone a fermarsi e a pensare a cosa stavano facendo.
Siamo sempre stati abituati alle situazione di crisi dove, nei film o nella realtà, il tempo accelera, tutto va più veloce.
Qualcuno ha detto: prima che muoia il capitalismo morirà il mondo. E invece i fatti ci hanno dimostrato che tutta l'economia mondiale può essere fermata, gradualmente. Senza scatenare il panico.
Siamo passati dalle serenate sui tetti alla PlayStation, dalla frenesia di vivere e divertirsi a uno stato di torpore in cui ti sorprendi a chiederti più spesso a cosa serve la vita.
Depressione, impigrimento o abitudine?
Sappiamo che l'incidenza della depressione è aumentata molto dall'esordio della pandemia e infatti, anche tralasciando i casi patologici veri e propri, quello a cui stiamo assistendo può essere visto come una specie di stato depressivo diffuso. O di impigrimento diffuso.
La televisione ti ricorda più volte al giorno che il paese è in ripresa, che le cose vanno non bene, ma benissimo. Addirittura meglio di come andavano prima.
Io sono un ottimista, anche se può non sembrare, ma guardandomi intorno non mi pare di vedere tutto questo fiorire di iniziative. Magari vedo solo il mio piccolo mondo limitato, la mia piccola bolla sociale.
Ma la mia città, Firenze, la sera è semideserta. Turisti, pochi. Ristoranti, quasi vuoti. Molti hanno chiuso. Se il buongiorno si vede dal mattino, anzi dalla vita di sera, mi sembra non ci sia troppo da festeggiare.
Per questo alcuni la chiamano Grande Pausa.
Eppure ora la pandemia finalmente sta svanendo, o almeno così pare, sta sfumando. Quindi ci sarebbero davvero le condizioni per una ripresa. Che però non scalpita per arrivare. Come mai?
Gli stati d'animo possono diventare abitudini, anche la depressione e la pigrizia.
La grande maggioranza delle persone ha superato la pandemia in senso fisico, o perché ne è guarita, o perché aiutata da un sistema immunitario più forte della media.
Ma sul piano del comportamento, alla gente è passata la voglia di fare.
Siamo passati dall'avere sempre qualcosa da fare all'avere sempre un'occasione per rimandare.
Churchill diceva: "Non lasciare mai che una buona crisi vada sprecata".
Che se ricordi, è analogo a: "Non lasciare che tutto questo dolore vada sprecato" di quando abbiamo parlato di Hellraiser nel video sull'ormesi (link in descrizione).
Però sembra che ce ne siamo scordati.
Sembra che la gente si sia resa conto che se anche rallenta un po', non è poi così grave. I prezzi e le bollette aumentano, il lavoro diminuisce, ma forse non è così importante. Tanto c'è la nonna che ti allunga la 20. O la 50.
L'italiano, popolo di risparmiatori, ha sempre due lire in banca. "Per i giorni di pioggia".
Non sto parlando delle persone davvero creative e innovatrici, come gli imprenditori. Loro avranno sempre una marcia in più rispetto alla massa, perché il loro mestiere consiste nel prosperare adattandosi.
Più grande è il cambiamento, più profonda è la crisi, più sono alti i potenziali profitti che l'imprenditore intelligente può ottenere.
Le grandi imprese di internet e quelle di vendita online hanno moltiplicato i loro guadagni. I supermercati hanno assunto decine di migliaia di lavoratori per adattarsi ai cambiamenti.
Sto parlando di tutti gli altri, delle persone ordinarie, che non hanno il pallino di trasformare il mondo.
Prima ti arrabattavi per arrivare alla fine del mese. Ora ti sei reso conto che, in fondo, morire di fame non è così facile. Sì, dovrai rinunciare a qualcosa, alla macchina di grossa cilindrata, alle cene al ristorante o alle spese di lusso.
Ma hai sempre una qualche rete di protezione sotto di te, che ti para la caduta. La famiglia, il clan, lo Stato ecc.
Produci un po' meno? Non importa. E ora puoi lavorare anche da casa. Così risparmi addirittura sui trasporti e sul pranzare fuori.
Occorre uscire dal torpore
Come sarà il futuro? Come ci avrà cambiato tutto questo fra 5, 10 o 20 anni?
Un'altra cosa di cui si parla da tempo è l'UBI, il reddito base universale (universal basic income) per certi versi simile al reddito di cittadinanza attualmente esistente in Italia, ma esteso a tutti.
Alcuni futurologi sostengono che quando le macchine e l'intelligenza artificiale si occuperanno di fare tutti i lavori che oggi fanno gli esseri umani, a noi resterà ben poco da offrire.
Già oggi lo vediamo accadere, poco alla volta. Non solo i robot nelle industrie, ma nelle traduzioni ad esempio. I traduttori lavorano e guadagnano sempre meno, perché gran parte del lavoro viene fatto in software. Il traduttore umano fa solo le rifiniture.
Non lo dite ai medici, ma alcuni sistemi automatici sono già in grado di fare diagnosi molto precise per diverse malattie.
Di questo passo addirittura i programmatori perderanno il lavoro. Se l'invenzione della calcolatrice ti ha evitato lo sforzo di imparare le tabelline, le intelligenze artificiali prossime venture ti eviteranno la fatica di imparare a programmare.
Perciò i sostenitori del reddito base universale preconizzano che il futuro sarà composto in maggioranza da persone che non lavorano. Sostentate dallo Stato per i bisogni essenziali, ovviamente proprietari di nulla e con poca o nessuna privacy.
La pandemia ci sta mostrando dei barlumi che questa, almeno per un certo periodo, potrebbe davvero essere una piega che il futuro potrebbe prendere.
Se chiedi a me cosa ne penso, un futuro di questo tipo a me farebbe rabbrividire. Magari sono di parte, perché a me la pandemia ha fatto semmai l'effetto opposto. Mi ha svegliato, mi ha tolto dei grilli residui dalla testa.
Mi ha fatto capire ancora di più che al mondo occorre fare affidamento su se stessi, perché se sei autonomo avrai sempre con te, dentro di te, quello che ti serve per sopravvivere e andare avanti.
Invece, la dipendenza eccessiva dai gruppi sociali e addirittura dallo Stato, anche se può essere rassicurante, ti lascia esposto al rischio, un domani, di quando quel gruppo, quella società o quello Stato potrebbero toglierti quello che ti serve e a quel punto resti scoperto. Perché non hai investito abbastanza su te stesso.
L'autonomia è un'assicurazione sulla vita
Per me, quindi, la pandemia non è né un Grande Reset né una Grande Pausa. È soprattutto un avvertimento, sulla necessità di uscire dal torpore e ricominciare a fare piani.
Metti a buon uso tutta la corteccia frontale che la Natura ti ha dato e ricomincia a progettare il tuo futuro.
Fai un inventario delle cose che ti piacciono, o di quelle che ti sono sempre piaciute, di quello in cui credi e che ha valore per te. E poi cerca dei modi pratici per realizzarlo.
Non importa se commetti degli errori, oppure se strada facendo ti rendi conto che hai sbagliato direzione, perché magari ti accorgi che la tua vera vocazione è altrove.
Però non desistere troppo presto, perché per capire se una strada porta da qualche parte, occorre percorrerla almeno un po', almeno finché non riesci a intravedere da lontano dove arriva._