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Ti amo, perciò ti lascio: la fine beffarda dell'amore |
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Molte persone vengono lasciate da compagni/fidanzati/mariti che però sostengono di essere
ancora innamorati. Com'è possibile?
La domanda che assilla la poveretta (o poveretto, non fa differenza) che non riesce ad accettare il fatto è: "Si può davvero autoconvincersi di non amare più una persona? Com'è possibile che mi abbia lasciata, giurando di amarmi ancora? E oltretutto da un giorno all'altro!"
Sembrano tutti presupposti per un bel
paradosso.
Supponiamo che fosse davvero possibile. Che un
atto di volizione bastasse per smettere di essere innamorati della persona a cui tanto teniamo.
Perché uno dovrebbe farlo? Perché tanto masochismo dal voler smettere, di proposito, di essere legati alla persona che tanto aggiunge valore alla nostra vita?
Se è vero che
l'amore è volere ciò che è nostro, come recita un detto, è evidente che qualcosa non quadra.
L'altro non di rado sostiene di essere afflitto dal
senso di colpa. Se ne è andato, sì, ma a malincuore.
Magari con le solite, patetiche scuse, tipo: "Non mi meriti/meriti di meglio", "Ho sofferto molto in vita mia", "Devo curare la mia depressione, perciò non posso stare con te, ti farei soffrire", oppure la più incomprensibile e beffarda di tutte: "Ti amo troppo per continuare a stare con te. Quindi ti lascio".
Che significato attribuire a tali tentativi di giustificazione, a contraddizioni tanto stridenti?
È un fatto che le persone generalmente non si accontentano delle
spiegazioni semplici e ovvie. Specie quando fanno male. Questo, intuitivamente, lo capiamo tutti. Anche chi lascia.
Molti preferiscono essere ingannati con la classica
pillola dorata pur di non vedersi sbattere in faccia la verità. In questo caso, che l'amore è finito. Non c'è più.
E non accade da un giorno all'altro.
La fine dell'amore, nelle relazioni, avviene per
logoramento progressivo, per
svuotamento dall'interno. Dal di fuori resta visibile un guscio vuoto, una relazione solo formale, che tuttavia non sta dando più nulla almeno a uno dei due.
Può succedere per via di continue incomprensioni, recriminazioni e dell'inutile rinfacciarsi fatti o presunti tali risalenti a chissà quanto tempo fa, ossia per un
degradamento progressivo del
clima relazionale. Oppure per
sopraggiunta incompatibilità di uno dei due. Gli esseri umani cambiano nel tempo. O ancora, per l'entrata in gioco di una terza persona.
Tuttavia si resta ancora insieme per un po', non si decide di andarsene all'improvviso. Per inerzia, per pigrizia, per abitudine. Anche per motivi economici. Per i figli. O per paura della solitudine.
E quando si prende la fatidica decisione, è ormai successo tutto ciò che doveva succedere. Non si tratta di un
fulmine a ciel sereno.
Si badi bene: l'
autoinganno, cioè, la pillola dorata, colui che se ne va la deve somministrare
innanzitutto a se stesso. Ha bisogno lui per primo di credere a ciò che dice ("ti amo, quindi ti lascio") perché altrimenti non risulterebbe convincente.
Per questo sono patetiche giustificazioni, sì, ma quasi sempre in buona fede.
Chi sono: profilo psicologico della coppia |
Uno dei profili tipo delle coppie coinvolte in queste situazioni è la coppia cosiddetta
caregiver/bisognoso d'affetto.
Il caregiver, generalmente una donna, è quella la cui
missione consiste nel fornire supporto emotivo e morale all'altro, il bisognoso d'affetto. L'unione si basa su questo scambio a senso unico, che vede lei tutta intenta a cercare di tirar su continuamente un uomo
carente di amore e con tendenza alla
melancolia.
Finché l'equilibrio regge, si può andare avanti.
Ma quando per una qualche ragione il bisognoso di affetto smette di amare, si trova gravato improvvisamente dal senso di colpa.
Pensa: "Dopo tutto quello che lei ha fatto per me, ora la devo lasciare. Come faccio? Che razza di essere spregevole farebbe questo?"
Estremo bisogno d'affetto, melancolia, tendenze depressive, sensi di colpa... sono spesso compagni di viaggio e coesistono nello stesso individuo.
Per questo, lasciare può essere addirittura
più doloroso che essere lasciati.
Così, in preda allo strazio, il depresso disinnamorato deve trovare un qualche modo per far quadrare i conti.
Giammai se ne potrebbe uscire con un cinico e secco: "Sai che c'è? Non ti amo più. Addio", perché dall'altra parte c'è una persona che ha dedicato lunghi anni della propria vita a fargli da stampella, da
mamma surrogata o
crocerossina, a lavorare attivamente al benessere dell'altro nella segreta speranza che tale investimento, un giorno, non sarebbe certo stato ripagato con l'abbandono.
Infatti, la forma più completa di egoismo consiste nell'
altruismo estremo, nell'annullarsi per l'altro.
Il minimo che possa fare chi si appresta ad andarsene in tale situazione, per salvare le apparenze, è cercare di ripagare in forma
minimale e simbolica ciò che ha ricevuto. Come?
Cercando di rassicurare.
Sostenendo che "ti amo ancora". Anche se me ne sto andando, anche se magari ho già un'altra.
Tale
escamotage non risolve tutto, però è un modo per mettere a tacere la coscienza. "Stai soffrendo perché ti lascio, però lo vedi, soffro anch'io".
Dinamiche tutt'altro che lineari, dove paradosso e contraddizione possono essere l'unica logica applicabile
tutto considerato.
È una scelta del
minore fra due mali, dove l'alternativa sarebbe confessare una verità ancora più triste : "Me ne vado perché non ho più bisogno di te".
L'altra lo sa, ma non vuol sentirselo dire. E lui sa che lei sa. Ecco perché si comporta così.
Un'eccezione notevole è il caso in cui il bisognoso d'affetto soffra davvero di una
depressione grave e quindi sia incapace di badare innanzitutto a se stesso, figurarsi un rapporto di coppia.
In tale evenienza, con il barlume di lucidità che per fortuna ancora resta, la persona può correttamente decidere di chiedere una pausa per curarsi. Se le cose andranno per il verso giusto, poi se ne potrà riparlare. Ma si tratta di una minoranza di casi, almeno secondo la mia esperienza professionale personale.
Negli altri casi la via migliore è farsi una ragione di quanto accaduto, come sempre badando soprattutto a ciò che l'altro fa, prima che a ciò che dice.
Una separazione ha bisogno in genere di diverso tempo prima che sia possibile superarla in modo definitivo. Se dopo
sei mesi/un anno ancora non si sono fatti progressi, tuttavia, può aver senso chiedere un aiuto esterno.
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